Diario di un precario dalla quaresima Romana

10 Marzo 2020

Stanotte non riuscivo a dormire dalla rabbia.


Questo mese non lavoro, per contratto posso lavorare solo 11 mesi l’anno e le risorse umane avevano già deciso che non avrei lavorato a Marzo. Il mio capo vorrebbe darmi un contratto con dei diritti, ma le risorse umane non vogliono perché sono troppo qualificato. La spiegazione che mi hanno dato, informalmente, è che loro si occupano di posizioni, non di persone.


Avevo fatto mille progetti, volevo andare a Cuba, poi ci ho ripensato perché mi sono fidanzato e non volevo allontanarmi per più di una settimana dalla mia ragazza. Allora ho pensato che avrei fatto la francigena in bici, partendo dalla Toscana. Avrei attraversato da solo aree non affette dall’epidemia, senza incontrare nessuno se non albergatori. Ora non posso fare neanche questo.


Posso solo ringraziare Dio che vivo a Roma, e il decreto del governo permette di spostarsi nel proprio comune. Ho una prigione bella grossa. Avrei preferito mille volte lavorare, visto che ci rimetto, ma a lavoro non ho alcun diritto.


Sto facendo la conta dei diritti che mi sono stati sottratti negli ultimi giorni, non posso votare al referendum, non posso spostarmi dal comune, non posso andare in palestra, al bar al ristorante ai musei.


Fra poco farò 35 anni e non potrò festeggiare. Non che avessi molto da festeggiare, per le statistiche non sarò più giovane. Non lo sarò neanche per le banche che essendo precario non mi daranno più un mutuo.


Fino a ieri ho vissuto tutto ciò abbastanza bene, da ieri non riesco a contenere la rabbia. Non mi succede spesso.


Mio padre ha 74 anni, vivo con lui. Mia madre è morta quando ero bambino, a Roma non abbiamo parenti. Quando lui ha avuto un infarto quest’estate me la sono dovuto sbrigare da solo, su e giù fra il lavoro e l’ospedale, distanti 20 chilometri l’uno dall’altro in questa città immensa.


Ogni mattina va a messa, e aiuta il parroco a officiare. Ieri gli hanno impedito di celebrare un funerale, hanno dovuto benedire la bara fuori dalla chiesa.


Addio libertà religiosa.


Roma, la città più estesa d’Europa, 5 milioni di abitanti. Non abbiamo neanche 60 casi di coronavirus. A Madrid sono 700 e hanno chiuso le scuole ieri.


Mio padre stamattina si è alzato, è andato a messa. Hanno celebrato clandestinamente, a porte chiuse, come i cristiani nelle catacombe. Col parroco che quest’anno ha avuto due infarti e una polmonite che ha più paura della polizia che del virus. Poi è andato a fare le scorte di vino.


Io mi sono alzato bestemmiando, ho tranquillizzato la mia ragazza che è straniera e non potrà vedere la madre che arriverà in Europa il mese prossimo dall’altra parte del mondo, e sono andato a farmi un giro in bici per ribellarmi a questa demenza collettiva dello #stiamoacasa


Campagna patrocinata dalla Regione. Giunta Zingaretti, lo stesso che ha chiuso decine di ospedali. Lo stesso che guida il partito di maggioranza del governo che stava per cadere e si è salvato grazie al virus.


Ma a tutto ciò adesso non pensa nessuno. Apro facebook e i miei amici stanno a casa, come gli attori consigliano dalle loro ville nei messaggi a rete unificati. Nessuno che legge i numeri.


I numeri in italia non li capisce nessuno. Io sono un politologo e faccio il contabile perché trovare lavoro coi numeri era più facile. Gli italiani non le capiscono le percentuali, non lo capiscono che a Roma il numero di contagiati statisticamente è zero. Stanno a casa, così gli ha detto il padrone. Chi si ribella è un antisociale, mette in pericolo i vecchietti.


Gli italiani non li hanno mai letti i numeri dell’epidemia di influenza del 2016, del morbillo del 2017. Per gli italiano 100, 1000, 10.000 sono la stessa cosa.


Non lo capiscono che il contagio è partito dalla Germania, che in Italia abbiamo fatto più controlli. Non lo capiscono che un morto contagiato non è un morto per contagio, che il numero dei morti per contagio non lo dicono mai in tv e nei giornali.


Non lo capiscono perché i numeri della Protezione Civile sono diversi da quelli dell’Istituto Superiore della Sanità.


Siamo un paese cattolico, pazienza se le chiese sono chiuse! Abbiamo bisogno di una guida a cui obbedire, di peccati da espiare, di vittime sacrificali.


Non è iniziata la quarantena. È la quaresima.